Blog

Ascesso e Fistola anale

Ascesso e Fistola anale

Cosa sono

– Ascesso perianale: è una cavità piena di pus che si trova in prossimità dell’ano o del retto.
– Fistola perianale: è quasi sempre il risultato di un precedente ascesso. Appena dentro l’ano esistono delle piccole ghiandole. Quando queste si ostruiscono, possono infettarsi e sviluppare un ascesso. Una fistola è un piccolo tunnel che si forma sotto la pelle e che connette una ghiandola anale infetta con la cute dei glutei al di fuori dell’ano.

Cause:

– Ascesso perianale. L’ascesso è il risultato di un’infezione acuta di una piccola ghiandola che si trova appena dentro l’ano, che incorre quando i batteri o sostanze estranee entrano nel tessuto perianale attraverso la ghiandola. Alcune condizioni – colite o altre infiammazioni dell’intestino, per esempio – possono rendere queste infezioni più probabili.
– Fistola perianale. Dopo che un ascesso è stato drenato (con fuoriuscita di pus), può persistere un tunnel che unisce la ghiandola anale, dalla quale l’ascesso ha preso origine, alla cute . Se questo si verifica, il continuo drenaggio di materiale sieroso, fecale o purulento da un orifizio esterno può indicare la persistenza di questo canale. Se l’apertura esterna del si chiude, si può sviluppare un ascesso ricorrente poiché il materiale che precedentemente trovava una strada per esser drenato all’esterno, inizia ad accumularsi nei tessuti perianali e si infetta. Non tutti gli ascessi però esitano in una fistola! Una fistola si sviluppa in circa il 30-50% di tutti i casi di ascesso, e non c’è davvero alcun modo di prevedere se questo accadrà.

Sintomi

Un ascesso anale è di solito associato a sintomi quali dolore e gonfiore intorno all’ano. Il paziente può inoltre presentare spossatezza, febbre e brividi. I sintomi correlati alla fistola possono includere: irritazione della cute intorno all’ano, prurito, secrezione di pus o sangue da un piccolo forellino situato vicino all’ano, dolore e febbre quando la fistola si infetta e provoca nuovamente un ascesso.

Diagnosi

Sia la diagnosi dell’ascesso che della fistola perianale sono cliniche. Questa si ottiene mediante un esame proctologico ambulatoriale ed un’eventuale anoscopia. Talvolta è necessario, ai fini dell’identificazione di tragitti fistolosi complessi, l’esecuzione di una ecografia transanale con sonda rotante a 360°. Tale esame ha una accuratezza diagnostica dell’ 80-89%. Se si adopera l’acqua ossigenata come contrasto l’accuratezza sale oltre il 90%. Un altro esame altrettanto accurato è la Risonanza Magnetica. Questa risulta però molto costosa e l’indicazione quindi è limitata ai casi più complessi.

Terapia dell’ascesso perianale

L’ascesso viene trattato mediante incisione chirurgica della cute che lo ricopre, così da poter drenare all’esterno il pus dalla zona infetta e quindi diminuire la pressione all’interno della cavità ascessuale. Spesso, questa procedura può essere eseguita in ambulatorio in anestesia locale. Un ascesso grande o profondo può richiedere l’ospedalizzazione e un intervento chirurgico in sedazione profonda. L’ospedalizzazione può essere necessaria anche per i pazienti a rischio di infezioni più gravi, come i diabetici o le persone con un deficit immunitario. Gli antibiotici sono una alternativa al drenaggio chirurgico del pus ma solitamente non riescono a penetrare in maniera efficace all’interno dell’ ascesso e quindi efficaci a volte solo per infezioni piu’ piccole (<2cm).

Terapia della fistola perianale

L’intervento chirurgico è necessario per guarire una fistola anale. Anche se la chirurgia della fistola di solito è relativamente semplice, la probabilità di complicanze esiste, ed è pertanto preferibile che questo tipo di intervento venga eseguito da uno specialista in chirurgia coloproctologica. L’intervento per la fistola può essere eseguito in contemporanea a quello per l’ascesso, anche se le fistole spesso si sviluppano 4-6 settimane dopo che un ascesso viene drenato, talvolta anche mesi o anni più tardi. Per le fistole sottomucose e quelle che coinvolgono una piccola porzione dello sfintere, l’intervento consiste nella fistulotomia: incisione e messa a piatto del tramite fistoloso con guarigione della ferita chirurgica per “seconda intenzione” (dall’interno verso l’esterno). Al contrario, le fistole che coinvolgono una grossa quota di sfintere anale, le cosiddette fistole transfinteriche o “alte”, vengono trattate in più tempi, poichè il trattamento in un tempo avrebbe come conseguenza il danneggiamento dello sfintere anale e quindi l’incontinenza fecale. Dunque il proctologo posiziona in un primo tempo chirurgico, previa accurata identificazione del tramite fistoloso, un drenaggio o setone nella fistola e lo mette in tensione ad intervalli di tempo, durante visite ambulatoriali, al fine di sezionare lentamente lo sfintere anale permettendo la guarigione graduale della fistola senza sacrificare l’apparato sfinteriale (cutting seton). Il trattamento con setone dura alcuni mesi durante i quali il paziente può svolgere le normali attività quotidiane. Questo trattamento e spesso è poco gradito dal paziente.
Il setone può anche essere posizionato allo scopo di drenaggio per 4-6 settimane per poi consentire un secondo trattamento chirurgico. Esiste anche un intervento che consiste nella esecuzione di una fistulectomia (asportazione di tutto il tramite fistoloso) , riparazione della breccia sfinterica e copertura (dall’interno del canale anale) della plastica muscolare mediante un “flap di avanzamento”, cioè di un lembo di mucosa e sottomucosa del retto sovrastante che viene abbassato a coprire la sede dell’intervento e del precedente orifizio fistoloso. In questa maniera se l’intervento ha successo (percentuale intorno al 60-70%) si risparmia il danno all’apparato muscolare che costituisce lo sfintere anale. Esiste anche la possibilità di trattare le fistole con dispositivi chiamati PLUG. I risultati non sono eccezionali in termini di recidiva ma l’intervento è molto “confortevole” per il paziente. Consiste nel posizionare una candeletta di materiale biocompatibile all’interno della fistola e per tutta la sua lunghezza, così da provocarne la chiusura, senza il bisogno di praticare alcun tipo di incisione o sezione di tessuti e/o muscoli, con totale assenza di rischi sulla continenza sfinteriale. Di conseguenza, nei casi di insuccesso, il paziente torna allo stato iniziale e può essere sottoposto a qualsiasi altro tipo di trattamento, senza aver pregiudicato la situazione iniziale in senso peggiorativo. E’ un trattamento che deve essere effettuato da personale esperto ed in centri qualificati. I risultati, comunque, in termini di recidiva della patologia, sono diversi a seconda delle varie casistiche. Bisogna comunque tener conto anche del costo elevato dei materiali da impiantare. Un intervento simile al precedente è quello che prevede l’iniezione di colla di fibrina (ricavata da sostanze coaugulanti presenti nel siero umano) nel tramite fistoloso. Anche qui l’integrità del tessuto muscolare non è compromessa, ma questo trattamento ha un alto tasso di recidive (oltre il 50%). Recentemente abbiamo proposto l’utilizzo di collagene per ‘chiudere’ il canale fistoloso con risultati molto incoraggianti e studi multicentrici europei a tal riguardo sono in atto.

Tecniche innovative

VAAFT (Video assisted anal fistula treatment). Tecnica innovativa che prevede l’endoscopia del tramite fistoloso con un piccolo fistuloscopio dedicato, cui segue la cauterizzazione della fistola dal suo interno e la chiusura dell’orifizio interno per via transanale. I risultati degli studi relativi a questa tecnica sono ancora in corso di definizione, ma molto promettenti.

LIFT (Ligation of intersfinteric fistula tract). Tecnica innovativa che prevede fondamentalmente l’apertura chirurgica dello spazio intersfinterico, la legatura e sezione del tramite fistoloso (che viene quindi interrotto) a ridosso dell’orifizio interno per via intersfinterica, la sutura della breccia operatoria. L’intervento viene spesso preceduto dal posizionamento di un setone lasso, non trazionato, al fine drenaggio e di creare una buona demarcazione del tramite fistoloso così che possa essere ben evidenziato intraoperatoriamente. La metodica salvaguarda l’integrità degli sfinteri anali interno ed esterno che vengono delicatamente divaricati. Questa tecnica ha dimostrato ottimi risultati in termine di guarigione, di recidiva e di gradimento da parte del paziente.

Degenza e convalescenza

Nella maggior parte dei casi gli interventi per fistola perianale possono essere eseguiti in regime di chirurgia ambulatoriale o in regime di day-surgery. Invece il trattamento di una fistola profonda o estesa può richiedere un breve ricovero in ospedale. Il trattamento di un ascesso o di una fistola anale è seguito solitamente da un breve periodo di degenza a casa (circa 7 giorni). Il disagio dopo l’intervento chirurgico per fistola anale può essere da lieve a moderato per la prima settimana e può essere ben controllato mediante l’assunzione di antidolorifici. Alla dimissione si raccomanda di solito di eseguire dei bidet con acqua tiepida per tre o quattro volte al giorno. Al fine di ammorbidire le feci si raccomanda inoltre l’assunzione di blandi lassativi e di bere almeno due litri d’acqua al giorno. Potrebbe essere necessario indossare un tampone di garza per evitare che il drenaggio di materiale sieroso sporchi la biancheria intima.

Il Carcinoma Tiroideo

Il Carcinoma Tiroideo

I noduli della tiroide sono molto frequenti, risultando rilevabili alla palpazione del collo nel 3-7% della popolazione generale. Nella maggioranza dei casi si tratta di lesioni di natura benigna, come il gozzo uni o multinodulare, le cisti o gli adenomi follicolari.

I tumori maligni della tiroide rappresentano invece una minoranza dei noduli tiroidei. Si tratta di carcinomi (differenziati e non) che possono avere origine dalle cellule follicolari della ghiandola, ovvero le cellule deputate alla produzione di ormoni tiroidei, o più raramente dalle cellule C, responsabili della produzione di calcitonina.

In casi molto rari la tiroide può essere sede di linfomi, sarcomi o metastasi a distanza di altri tumori.

I carcinomi della tiroide si suddividono in base al tipo di cellule da cui hanno origine, e all’architettura di crescita del tumore:

carcinoma papillare (75% dei tumori tiroidei): ha origine dalle cellule follicolari, il picco di incidenza è tra la quarta e la quinta decade di vita ed è più frequente nel sesso femminile. Può dare metastasi ai linfonodi del collo e il tasso di sopravvivenza a 10 anni è di oltre il 95%;
carcinoma follicolare (15% dei tumori tiroidei): ha origine dalle cellule follicolari, l’età media di presentazione è intorno ai 60 anni. Predilige la diffusione attraverso il sangue, con possibili metastasi a ossa, polmoni, fegato e altre sedi. La sopravvivenza a 10 anni è del 98% per i tumori minimamente invasivi (che invadono pochi vasi intorno alla capsula), scende invece all’80% nei carcinomi invasivi;
carcinoma scarsamente differenziato e anaplastico (< 3% dei tumori tiroidei): le cellule tumorali perdono la differenziazione e non sono più simili al tessuto di origine. Sono tumori generalmente molto aggressivi;
carcinoma midollare (7% dei tumori tiroidei): origina dalle cellule parafollicolari o cellule C, responsabili della produzione di calcitonina. Nella maggior parte dei casi si tratta di tumori sporadici che insorgono tra la quinta e la sesta decade di vita. Più raramente è familiare e si verifica nel contesto di sindromi genetiche, colpendo tipicamente i soggetti giovani.

EZIOPATOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO
precedente esposizione a radiazioni ionizzanti (incidenti nucleari, irradiazione esterna della regione del collo, soprattutto in età infantile);
familiarità per carcinoma tiroideo;
preesistente patologia tiroidea benigna;
fattori ormonali e gravidanze;
apporto alimentare di iodio;
MUTAZIONI GENICHE: oncogene ras, RET protooncogene, recettori TSH, recettori tirosinkinasi (RET, trk, met), p5

DIAGNOSI CLINICA DEL CARCINOMA TIROIDEO
Nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti asintomatici con un riscontro casuale di un nodulo tiroideo alla visita medica o all’esame ecografico
Il riscontro di una massa visibile, palpabile, non dolente e con un certo grado di fissità sui piani profondi deve far sospettare la presenza di un carcinoma tiroideo
Una ulteriore progressione di malattia è sospetta in caso di raucedine, tosse stizzosa, diminuzione del tono della voce, dispnea o disfagia fino alla rara sindrome della vena cava superiore

TRATTAMENTO CHIRURGICO
Trattamento iniziale : tiroidectomia e terapia sostitutiva(Lt4) Estensione della Tiroidectomia
LA TIROIDECTOMIA TOTALE (rimozione completa della ghiandola)
Vantaggi:

• permette di asportare tutti i foci neoplastici presenti,
• eseguire il successivo trattamento ablativo ed il follow-up con 131 I
• Sorvegliare facilmente il paziente con dosaggio della tireoglobulina (Tg) ematica circolante

TIROIDECTOMIA QUASI-TOTALE (rimozione di tutto il lobo interessato, con quasi totale exeresi del lobo contro-laterale)
TIROIDECTOMIA SUBTOTALE (rimozione bilaterale di 3/4 della ghiandola da entrambi i lati e dell’istmo)

Stipsi e sindrome da ostruita defecazione (ODS)

Stipsi e sindrome da ostruita defecazione (ODS)

La stipsi o stitichezza non è una malattia, ma un sintomo, di solito secondario ad altre patologie quali : malattie sistemiche, assunzione di farmaci, errate abitudini alimentari o malattie gastrointestinali e sono pertanto queste le prime condizioni da escludere durante la valutazione diagnostica del paziente affetto da stipsi. La stipsi consiste nella difficoltà di espellere le feci, di una riduzione nella frequenza di evacuazione, di evacuazione di feci dure e nella sensazione di incompleta evacuazione. Tale disturbo, difficoltà ad espellere le feci, è causato, nella maggioranza dei casi, da un’alterazione anatomica e/o funzionale della regione ano-rettale o della muscolatura pelvica.
Il trattamento nei pazienti con ostruita defecazione può essere:

1. Chirurgico
2. Riabilitativo
3. Medico

E’ fondamentale ai fini di raggiungere obiettivi importanti tramite una valutazione clinica, strumentale e funzionale accurata e completa a mezzo di un approccio multidisciplinare.
OBIETTIVI :

– Correzione durevole del difetto anatomico e quindi restituire una funzione ano-rettovaginale normale.
– Correzione concomitante di anomalie responsabili di sintomatologia associata (turbe della statica con protesi (TVT) rettale, incontinenza urinaria, fecale, ragadi, emorroidectomia,
– Evitare di mascherare altri disturbi di altro genere
– Evitare complicanze o sequele (dolore, dispareunia secondaria , incontinenza post operatoria)

In tutti i modi, oggi è possibile correggere l’alterazione anatomica alla base della Defecazione Ostruita, ovvero il duplice meccanismo di indebolimento e sfiancamento della parete rettale e discesa della parete verso il basso creando un “prolasso” o verso la vagina determinando un “rettocele” causando in entrambi i casi un ostruzione nell’evacuazione delle feci, con un intervento denominato STARR.
Tale intervento consiste nella Resezione Rettale Segmentaria Transanale, attraverso l’utilizzo di 2 suturatrici meccaniche circolari che asportano 2 semilune della parete rettale a tutto spessore eliminando, attraverso un’azione “taglia e cuce”, il tessuto rettale in eccesso che determina l’ostruzione e ristabilendo la normale progressione del transito delle feci attraverso il retto distale e canale anale.

Obesità

Obesità

L’obesità è una malattia che si caratterizza per un accumulo patologico di grasso corporeo con conseguenze anche importanti per lo stato di salute e la qualità di vita. L’obesità è uno dei maggiori problemi di salute pubblica a livello mondiale e incide in maniera decisa sulla durata della vita perché può comportare l’insorgenza di pressione alta, diabete mellito, apnee notturne e patologie cardiovascolari.

L’obesità viene stabilita anche grazie all’indice di massa corporea (BMI): quando questo è pari o superiore a 30 parliamo di obesità.

L’obesità è, in genere, dovuta a uno squilibrio tra apporto e consumo energetico. Questo sbilanciamento tra le calorie assunte e quelle consumate comporta un accumulo di grasso in eccesso.

L’obesità può anche essere trattata attraverso procedure chirurgiche nel caso in cui un regime alimentare corretto e adeguato e una costante attività fisica non siano sufficienti.

Gli interventi principali consistono nell’inserimento di un collare di silicone intorno al primo tratto dello stomaco (Bendaggio gastrico regolabile) oppure nella rimozione dello stesso di circa ‘80% (Sleeve Gastrectomy) oppure riducendo il percorso del cibo (By-pass gastrico)

La malattia Emorroidaria

La malattia Emorroidaria

Le emorroidi sono cuscinetti di tessuto vascolare, dovuti a dilatazione abnorme dei plessi venosi, localizzati nel canale anale e nella parte terminale del retto. I cuscinetti emorroidari svolgono un importante ruolo nel mantenimento della continenza fecale; inoltre le emorroidi agiscono a protezione dello sfintere anale durante il passaggio delle feci. Normalmente non ci si accorge della presenza di questi cuscinetti vascolari ma, in particolari circostanze, le emorroidi possono gonfiarsi determinando i sintomi della malattia emorroidaria.

Si parla di malattia emorroidaria quando i cuscinetti di tessuto emorroidario aumentano di volume e prolassano unitamente alla mucosa rettale, cioè fuoriescono dal canale anale; quando diventano sede di congestione ed ematomi e cominciano a sanguinare; quando al loro interno si forma un coagulo di sangue (trombo) pruriginoso e dolente.

In medicina le emorroidi vengono classificate in quattro gradi o stadi a seconda della gravità del quadro clinico:

• 1° grado. Si verifica l’aumento di volume di uno o più cuscinetti emorroidari con fastidio, prurito e possibile sanguinamento durante la defecazione.

• 2° grado. Si assiste al prolasso emorroidario iniziale (fuoriuscita delle emorroidi dal canale anale), solo durante la defecazione, con successiva riduzione spontanea. Possono comparire fastidio, prurito e sanguinamento.

• 3° grado. Il prolasso emorroidario necessita di riduzione manuale. La sintomatologia prevede fastidio, prurito, sanguinamento, dolore e lieve incontinenza fecale.

• 4° grado. Il prolasso è permanente, non riducibile manualmente. I sintomi sono dolore, prurito intenso, costante incontinenza fecale.

Procedura chirurgica:
viene proposta alla luce delle indagini preoperatorie effettuate ed è influenzata dal quadro clinico intraoperatorio. Prolassectomia e anupessi con suturatrice meccanica, o stapler. La scelta definitiva sulla procedura da impiegare avviene soltanto all’inizio dell’intervento chirurgico quando, in conseguenza del rilasciamento indotto dall’anestesia, si può definitivamente valutare la reale entità del quadro che si presenta.